Come ben sapete la politica è una delle mie passioni e anche se sto vivendo un momento politicamente un pò particolare oggi vorrei sottoporre alla vostra attenzione un commento di Vito Schipesi che a sua volta riprende un'articolo di Caldarola. Le frasi in rosso sono quelle che condivido maggiormente e che in parte ho vissuto sulla pelle come coordinatore provvisorio protempore inesperto chipiùnehapiùnemetta del comitato vicano. E' un'amara riflessione ed ha uno scopo, un fine , naturalmente costruttivo e non distruttivo .
Leggendo l’articolo di Peppino Caldarola , ho risolto un enigma che mi ponevo da tempo. Se il Pd in definitiva abbia offerto alla politica italiana qualcosa di nuovo. La risposta è stata negativa. Anche la
presunta unificazione, in un partito, delle due componenti interessate all’incontro tra marxismo e cattolicesimo, caro al sentimento di ineluttabilità di Aldo Moro, e che ha coinvolto i
post comunisti ed i post confessionali cattolici italiani, sa tanto di antico.
E’ emerso il vecchio
compromesso storico, inseguito da anni in piena prima repubblica e bloccato solo con la tragica scomparsa dello Statista cattolico.
Lo stesso che è stato pensato allora per sbancare il tavolo della democrazia e mettere fuori gioco sia il socialismo riformista sia il liberalismo pragmatico dello Stato necessario. Il nuovo partito è simile all’equilibrio sostanziale tra la maggioranza a centralità democristiana e l’opposizione a centralità marxista del vecchio consociativismo.
La particolarità si rispecchia soltanto nella riflessione che, con il venir meno del centralismo democratico dell’esperienza marxista, il nuovo partito è stato influenzato maggiormente
dall’aspetto tattico della vecchia Dc, dove e quando
non si risparmiavano munizioni nella lotta intestina, per compattarsi subito dopo in presenza della divisione degli spazi di potere.
La presenza all’interno di
anime teoricamente così differenti, da sembrare persino del
tutto inconciliabili impone, oggi come imponeva allora,
il metodo dell’immobilismo nell’attività propositiva del partito e la chiusura culturale alle riforme ed alle novità in genere. Contava allora, come conta ora, più ciò che si lasciava intendere di ciò che si faceva. La politica delle parole, cara a Veltroni, anziché la politica dei fatti.
Il PD è un puzzle dove le tessere si scompongono su ogni questione, per ricomporsi solo al sopraggiungere della necessità dell’unità strumentale per
conquistare il proprio spazio di interdizione. La forza di ciascuno consiste solo nella sua capacità di poter impedire. E’ un
campo di battaglia dove la tensione si avverte a naso. Veltroni acquista consenso solo se riesce a dividere. La sua forza è in definitiva solo quella sua debolezza che lo mantiene in vita. “Sulla carta - sostiene Caldarola - più il Pd si divide in ex Ds ed ex Popolari, con altre correnti di contorno, più il segretario può sentirsi in sella. A meno di un patto
doroteo fra diessini e popolari che lo butti per aria, la nuova divisione nel Pd lascia un po’ di tempo da vivere, politicamente, a Veltroni”.